Da: Il Corriere Apuano

                      di Paolo Bissoli

 

                   L'iscrizione dedicata a

          Nerone e Poppea trovata a Cecina

 

Venne alla luce all'inizio del Settecento in questo angolo di Lunigiana, tra Fivizzano e Fosdinovo, oggi periferico ma un tempo lungo un importante itinerario tra Luni e Lucca.

 

 Chi si trovasse a Roma, in piazza del Campidoglio, non perda l'occasione di entrare nel “ Palazzo Nuovo” dei Musei Capitolini, quello che si incontra a sinistra una volta alla sommità della “cordonata capitolina”, la grande scala guardata a vista dalle statue colossali di Castore e Polluce. In questo magnifico palazzo, progettato da Michelangelo a completamento della piazza, il museo venne inaugurato nel 1734 durante il pontificato di Clemente XII con un percorso espositivo che ancora oggi è proposto al visitatore. Qui, tra centinaia di statue, sculture e reperti di straordinaria fattura e di rara bellezza, nella seconda sala al piano terra, è conservata un' iscrizione incisa su lastra di marmo lunense (circa 88 cm di lunghezza per 24 di altezza). Una delle migliaia di iscrizioni fissate nel marmo di Carrara, si dirà certo! , ma con un particolare: è stata trovata in Lunigiana a Cecina di Fivizzano. Oggi , in questo angolo dell'alta valle del torrente Bardine, sul confine fra i territori comunali di Fivizzano e di Fosdinovo, vive una piccola comunità che ogni giorno si misura con le distanze del fondovalle e dai servizi che si fanno sempre più lontani. Ma c'è stata una stagione nella quale Cecina era un nodo stradale importante, nato e sviluppatosi lungo una delle vie storiche più frequentate, che metteva in comunicazione Luni e le valli di Lunigiana e Garfagnana fino a Lucca.

Lo si comprende anche osservando le tante testimonianze, soprattutto artistiche, che una visita nel paese ci regala e che risalgono anche al XV secolo. Territorio al centro delle comunicazioni, famiglie ricche che potevano permettersi di commissionare opere d'arte di pregio ad artisti che scolpivano il marmo nelle relativamente vicine botteghe di Carrara.

A Cecina, nei pressi del paese, nei primi anni del Settecento, è dunque venuta alla luce questa lastra di marmo che da tre secoli è conservata nei Musei Capitolini a Roma. In questo lungo arco di tempo, il reperto è stato studiato da decine di specialisti che hanno lasciato una vasta produzione di saggi e pubblicazioni, sia sulle vicende ad essa legate, sia sul messaggio che tramanda da ormai quasi duemila anni, da quando venne realizzata attorno al 66 d.C. Uno dei saggi più recente, utile per una comprensione dell'iscrizione e del committente, è quello di Federico Frassoni in “Le epigrafi romane”, edito nel 2013.

Sul perchè quella lastra sia ststa rinvenuta a Cecina si possono solo formulare delle ipotesi; potrebbe trattarsi di un reperto perduto durante un trasporto da Luni ad altra località imprecisata lungo la strada per Lucca. Ma alcuni studiosi hanno anche ipotizzato che il marmo fosse a Cecina non per caso, bensì per la presenza, in questo angolo di Lunigiana, di una delle residenze del ricco e influente personaggio romano che volle fosse tramandata questa articolata dedica. Si sa, invece, che per qualche tempo dopoil ritrovamento, la lastra fu conservata in paese, nella casa della famiglia Moreschi e lì sarebbe rimasta se i componenti non avessero inviato una prima versione della trascrizione del testo al sacerdote fiorentinoAnton Francesco Gori (1691 – 1757), uno dei più importanti eruditi del tempo. Fu lui a pubblicare per la prima volta una versione accurata dell'iscrizione dopo che questa era stata ceduta dai Moreschi all'Abate Antonio Niccolini che la fece trasferire a Firenze.

Nel 1740, nel capoluogo toscano, la lastra fu esposta proprio nel museo Niccolini e così messa a disposizione di numerosi studiosi che si cimentarono con l'analisi dell'iscrizione e con la storia che nascondeva. Infine, nei primi decenni dell' Ottocento, il reperto venne trasportato a Roma perchè acquistato dal museo capitolino dove si trova ancora oggi.

 

Fu lui a commissionare l' Invocazione conservata a Roma nei Musei Capitolini

 

Lucio Titinio Glauco Lucreziano, fedelissimo dell' imperatore

 

Lìiscrizione, in latino, che si può leggere sulla lastra trovata a Cecina di Fivizzano, riporta due dediche: La prima celebra Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone; l'altra è invece per l'imperatore in prima persona. Entrambe sono completate, in caratteri più piccoli, con il nome del dedicante e il riferimento al voto da lui stesso pronunciato.

Il ricco cittadino romano che dettò questa iscrizione dedicatoria è ben noto: si tratta di Lucio Titinio Glauco Lucreziano, che la volle a corredo di un importante monumento celebrativo di Nerone e della “diva” Poppea con l'invocazione alle divinità perchè li custodissero. Con essa l'uomo, tra i più in vista dell'epoca, volle tener fede ad un voto espresso mentre si trovava in servizio militare nelle isole Baleari. Ma in precedenza Lucio Titinio, “cittadino Lunense di dignità equestre”, fra il 55 e 60 d.C. Era stato per ben quattro volte “duoviro” a Luni guadagnandosi il titolo di “patronus coloniae “ e, se non fosse stato destinato alle isole della Hispania, avrebbe svolto il mandato per un quinto anno, a roprova del fatto che avesse goduto dei fovori dell'imperatore Claudio prima di guadagnarsi anche quelli di Nerone.

Tribuno militare, Lucio Titinio Glauco Lucreziano aveva servito Roma anche in Germania prima di essere inviato, attorno al 63 d.C., nelle Baleari. Era questa una delle destinazioni di quanti venivano condannati all'esilio e al cittadino Lunense venne affidato il comando del distaccamento militare dei legionari incaricati di sorvegliare gli esiliati.

Qui, nel 65, fece il voto alla cui origine ci sarebbe stata la notizia che a Roma in quell'anno era stata sventata la congiura guidata, tra gli altri, da Gaio Calpurnio Pisone e che mirava all'uccisione dell'imperatore. Una congiura che, oltre alla quarantina di uomini tra senatori, cavalieri, militari e influenti cittadini romani, aveva trovato adesioni anche in una più vasta platea, circostanza che spinse l'imperatore a richiamare in Italia, e a Roma in particolare, persone a lui fedeli, tra le quali anche Lucio Titinio. Ma l'essersi legato in modo così stretto all'imperatore decretò anche la fine della sua carriera al momento della morte di Nerone “68 d.C.).