Castagni - castagne - farina

Riccio con castagne d' Pianèza
Riccio con castagne d' Pianèza

LE CASTAGNE

 

 Fin dal  1400  Antonio Eoie nei suoi scritti chiamava la farina di castagne "Pan di Lunigiana"

(aggiungiamo coerentemente che spesso era pane e companatico......).                                                

 A Cecina quando si parla di castagna il pensiero corre subito al generoso albero che la produce. La proverbiale venerazione per il castagno si deve al ruolo fondamentale che il suo frutto ha giocato per lungo tempo nella sopravvivenza quotidiana della popolazione locale. Dal “piazàlo” antistante la chiesa, centro di ritrovo del paese, ovunque si volga lo sguardo si incontrano boschi di castagni; nel passato questi castagneti erano puliti e curati assiduamente dai paesani, in vista della stagione di raccolta. Sterpaglie, rovi e stecchi venivano rimossi dal sottobosco lasciandolo libero. In inverno, appena perse le foglie e terminata la raccolta delle castagne, iniziava la potatura delle parti secche, necessaria anche per la produzione di legna da ardere per il camino o per i “canìci” (seccatoi). La pulizia del sottobosco proseguiva poi tutto l'anno, fornendo altro materiale per il fuoco e grandi quantitativi di foglie, utilizzate come letto per gli animali e, mescolate agli escrementi, per la produzione di letame (lutàmo) per la concimazione dei campi. A settembre fin dall’alba si cominciava a preparare il terreno con vari attrezzi (“ 'l pnà al culo”, “ 'l falciòn”, la “zapa”, “'l rastèlo”), dando l'ultima "arguaiàta" (pulizia) tutti insieme, e sui pendii più ripidi si costruivano piccole fosse con bordo rialzato, le "rieste" (da arrestare), per fermare il rotolamento delle castagne cadute e poterle raccogliere (“coi'r”) successivamente da un unico posto; in quel periodo il bosco risuonava del vociare allegro e dei canti di tutta la comunità, che si accompagnava così nel duro lavoro.

 Il ciclo della castagna parte al momento della raccolta e termina con la sua conservazione, attraversando le fasi di essiccatura, pulitura e macinatura.

 

·         Raccolta: avviene nel mese di "ottobre e novembre", quando la castagna cade dalla pianta. La "selva", il bosco di castagni coltivati a frutto, veniva e viene tuttora in alcuni luoghi preparata mediante pulitura del sottobosco, in modo che il cardo (o riccio) e la castagna siano ben visibili. La raccolta viene fatta principalmente a mano (dalle cuidòre), con l'ausilio di  bastoni per battere il cardo nel caso in cui le castagne, in genere tre per riccio, non siano ancora fuoriuscite. Le castagne vengono dapprima sistemate nei "taschè" (borse di stoffa legate alla vita), per poi essere trasferite in sacchi di juta. I sacchi infine venivano trasportati dal bosco ai “canìci” a dorso d’asino, o anche a spalla dagli uomini e sulla testa, col sostegno di un “coròiolo”(ciambella di stoffa), dalle donne. 

 

·         Essiccatura. I sacchi venivano portati al canicio o metato, un piccolo edificio nel quale un fuoco di legna di castagno era sempre tenuto acceso a pianterreno, mentre su un piano costruito a circa due metri di altezza, con pali di castagno accostati a formare una grata (“caniciato”), venivano poste ad essiccare le castagne. Con il calore del fuoco sottostante in 20 - 30 giorni le castagne erano pronte per la pulitura. Il canicio era allo stesso tempo anche un luogo d'incontro e socializzazione, dove la gente del paese si raccoglieva per scambiare due chiacchiere in un ambiente caldo (non esistendo allora riscaldamento nelle case). Gli anziani trasmettevano le loro molte esperienze ai giovani, mentre ai più piccoli si raccontavano fiabe (“canzòn”), sia in dialetto sia in italiano. Tra i narratori di Cecina si distinguevano per bravura Vitò, Alfrè e Flicio. Il fuoco sempre acceso veniva inoltre sfruttato per cucinare; nonne e mamme scaldavano il minestrone e cuocevano i "ciàn" sui testi di terra; anche l'acqua per fare la "bugàta" (lavaggio con cenere per sterilizzare i panni) veniva fatta bollire qui: infatti il “bugno” (recipiente di terracotta per i panni, forato sul fondo) era quasi sempre posizionato nei canici. I “canìci” più noti in paese, dal nome dei proprietari, erano d' Francè, d'la Giusè, d' Dante, d'la Catè, d'Abramo, d'la Lui, d'Alfrè, d' Vitò dal campanilo, d' Rumuà, d'Dino, d' Ricà e d' Niclè.

 

·         Pulitura. Una volta terminata l'essiccatura si procedeva con la sgusciatura, mediante la battitura delle castagne nei “bugni” (tronchi d’albero svuotati) con il “frugòn” (bastone con testa rotonda), e con la spulatura, mediante la “vassora” (setaccio), per eliminare i residui di guscio; oggi questi passaggi vengono eseguiti da macchine meccaniche. La spulatura era il lavoro delle donne, che sistemate tutte in fila chiacchieravano e scherzavano in una nuvola di polvere.

 

·         Macinatura. A questo punto le castagne erano pronte per la macinatura nel mulino. I mulini,con funzionamento ad acqua, erano forniti di macine in pietra opportunamente scanalate. A seguito di una attenta vagliatura della farina ottenuta, il prodotto era pronto per l'uso.

 

·         Conservazione. Le farine erano divise almeno in due tipi: la farina di prima scelta e la farina di seconda scelta (“farinacio”), ottenuta dai “gusciòn” (castagne spezzate o annerite). La prima veniva utilizzata come alimento per l’uomo, la seconda per l’alimentazione degli animali. Nei periodi di magra tuttavia, quando la prima scelta era esaurita, per mangiare ci si accontentava anche del “farinacio”. Entrambi i tipi di farina venivano stoccati in casse di legno (“casce d’la farina”); la farina veniva pigiata, compressa fortemente anche con i piedi come nella pigiatura dell’uva, in modo da non lasciare bolle d’aria all’interno e prevenire così il rischio di camole. Così compattata, per prelevarla al momento dell’uso era necessario ricorrere alla sgorbia di ferro, un attrezzo da falegname. Prima di utilizzarla veniva poi setacciata un’ultima volta. 

 

Allora come oggi si possono realizzare con la farina di castagne piatti eccezionalmente ricchi di sapore e col gusto naturale di una volta, che stanno poco a poco ritornando sulle nostre tavole.

 

 Ricordi…

 A vag a veio al fogolàro d'la Luì.

 

 St'sera al canìcio d' Dante la ghen la mundina, i l‘a fa Valè, t' farest ben a portar un fiasco d'vinèla.

 

 T'ven st'sera al canìcio d'Alfrè ch‘i arcont la canzòn?

 

 Che canzòn i'a arcontà Flicio arsèra? I‘a arcontà quela d' "sfrùza n'qua, sfrùza n'là dov' a t'tro a t'voi   magnà".

 

 Arsera a ern cusci tanti da Francè che la banca l'ern tuta piena, m'è toco astàrm n' tera.